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GREGORIO VIGNOLA | WARM HOLE THROAT

WARM HOLE THROAT
Installazione di Gregorio Vignola a cura di Riccardo Vailati

 

La ricerca artistica di Gregorio Vignola (Como, 1995) istituisce contesti atemporali che sfociano da un passato trascorso ma non esaurito e da un utopistico futuro già in corso, dilagando nel nostro presente estetico come interferenze organiche senzienti. Esportando simbologie delle forme da coordinate arcaiche, genera deformazioni futuribili grazie alle funzionalità di uno sviluppo progressivo, valorizzando il carico vitale e culturale dei materiali, del loro stratificato tramutarsi. Nell’incontro con Spazio Volta, luogo già di per sé pregno d’una stratificazione di forma e di contenuto, l’artista si è impiegato nell’attivazione d’un portale che mettesse in luce le interconnessioni silenziose in continuo avvenimento tra significanti materici e tracce tangibili di significato.

L’elemento “wormhole” (o ponte di Einstein – Rosen), da cui l’intervento installativo attinge, è difatti un termine scientifico che corrisponde ad un cunicolo spazio-temporale, una galleria gravitazionale dove l’interconnessione tra le costanti parallele “Chronos” e “Spatium” si deforma, demistificandole. In quel “luogo tra i luoghi”, o per la stessa ragione, “non-luogo”, questi due pilastri esistenziali cedono sotto il loro stesso peso, incanalandosi in una traiettoria di cui sono riconoscibili due estremità senza coordinate, dove la materia può viaggiare da un estremo all’altro passandovi attraverso. La vivida analogia di John Wheeler in cui l’universo era una mela, lo portò ad immaginarsi un verme che ne viaggiava sulla superficie,
decidendo poi di scavarsi delle vie alternative che gli permisero di aggirare le regole determinanti dell’universo stesso; per quell’ipotetico tunnel che attraversava la mela a metà fu perciò coniato il termine “wormhole”, la cui traiettoria narrativa di ciò che lo attraversa è denominata come “throat”, letteralmente, la gola scavata da questo verme. Da qui “WARM HOLE THROAT”, che preserva al suo interno la citazione del tragitto da un estremo all’altro, e quindi della distorsione spazio-temporale che ne deriva, giocando foneticamente sugli aspetti allegorici più umani di questo tunnel, centralizzando l’idea di buco, citando la temperatura, che corrisponde alle pareti di una gola di carne, e coinvolgendo perciò anche le risonanze sessuali e carnali evocate da questi termini. Una composizione installativa ricalcante una dimensione ecclesiastica si sviluppa in tre nuclei di contenuto che si diramano a loro volta in proliferazioni estetiche e di
linguaggio insito, valorizzando un reticolato neurale che connette gli elementi in coabitazione nello spazio.

L’opera “Layered Echoes” si rivela da una solida presenza emersa in cui la traccia fossile data dall’incontro tra natura ed artificio si palesa nella sua stessa assenza.

Il propagarsi di un vuoto denso consente un riverbero di forme ch’è proiezione d’un riempimento riflesso, prominente ma in grado di accogliere. La stratificazione del suo comporsi genera una solidità data dall’aggregazione, così come da un’intricata
mancanza apparentemente spontanea.

“Papyraceous” si sviluppa invece in due entità modulari, risvolti d’uno studio di forme che ha avuto origine durante un periodo trascorso dall’artista presso Door Residency program (Amsterdam, NL); i due elementi presenti in mostra ne incarnano le diramazioni più recenti, riperpetrando la loro valenza volumetrica nel dar forma tridimensionale e geograficamente espansa della lettura clinica d’un prossimo nascituro con esiti esistenziali differenti e già scritti.

Avvinghiati dalle sue concrezioni elettriche “Birthplace odissey” ci proietta infine in un viaggio onirico, scivolando in un’ampiezza da cui tutti gli elementi sono attratti, e dove tutti convergono. Forme situazionali catturate da contesti naturali attivi sono qui congelate in un percorso esplorativo che frastaglia ogni entità, per riportarla e riproporla in un unico luogo originario. Il nulla può divenire tutto, in maniera paritaria, è in corso un’ escursione epica e silenziosa dove ogni parvenza di tempo
è risucchiata dallo stesso paesaggio, un wormhole espanso che attrae e cattura, per poi concedere una nuova versione di sé che si rigenera ancora una volta da un vuoto potenzialmente denso e fertile.

 

Testo di Riccardo Vailati