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COMMEMORATIO

UGO CARRARA  Commemoratio
La Madonna di Bellini rubata,
1993-2023
A cura di Edoardo Bonacina con un testo di Roberto Nardi

In “Se amore guarda. Un’educazione sentimentale al patrimonio culturale” (Einaudi, 2023), lo storico dell’arte Tomaso Montanari, in un passaggio della premessa, mette in guardia sul possibile smarrimento della “ragione profonda” per cui ci si interessa al patrimonio culturale e alla storia dell’’arte: “la forza di liberazione con cui apre i nostri occhi e il nostro cuore a una dimensione ‘altra’”.

Un altro illustre storico dell’arte, Federico Zeri, nel corso di un ciclo di conversazioni presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a metà aprile 1985, raccolte nel libro “Dietro l’immagine” (Longanesi, 1987), evidenzia che il nostro è un Paese “la cui stratificazione storica e culturale è durata più di duemila anni”, quindi “non c’è da meravigliarsi mai se si sente parlare di grandi scoperte effettuate in Italia”.

Le questioni sottintese alle citazioni fatte meriterebbero certo di essere approfondite, ma ciò che interessa, attorno ai temi del patrimonio culturale e dell’arte, sono i concetti di smarrimento di una “ragione profonda” e di scoperta. Antitetici? Contrari? Non è detto. Certo è presente un senso di smarrimento, di spaesamento, di perdita di riferimenti, nei sei lavori realizzati per la mostra da Ugo Carrara, artista ventiduenne di Bergamo, residente tra Milano e Parigi, incentrati sulla sottrazione della Madonna con Bambino di Giovanni Bellini dalla chiesa della Madonna dell’Orto, a Venezia.

Il quadro è stato rubato il primo marzo 1993 e non è stato finora recuperato. Il furto della tavola belliniana è al centro di un mio libro, tra cronaca, sottrazioni e saccheggi d’opere, domande su un certo periodo della vita veneziana e questioni inerenti la salvaguardia e tutela dei beni artistici, uscito nel marzo scorso (Perché Io? Il mistero del furto della Madonna con Bambino di Bellini a Venezia, Mazzanti Libri).

Nelle opere del ciclo intitolato “Commemoratio. La Madonna di Bellini rubata” incombe un’atmosfera scura. Nulla può far pensare che la vuota cornice sopra l’altare della Cappella Valier possa tornare a ricevere la tavola devozionale realizzata tra il 1470 e 1480. Il fondo è nero, fuligginoso. Due strisce scure attraversano questa parte dell’opera. Anche l’immagine fotografica della Madonna con il Bimbo poggiata dopo il furto dell’originale sull’altare è resa irriconoscibile. Non basta ad accendere la speranza quel punto rosso sul lampadario che sovrasta la Cappella né, su un’altra opera, il rosso della veste della Madonna. È dolore. Ricorda il sangue del Sacrificio.

Il nero intenso che attornia le immagini, le macchie bianche che paiono segni del lavoro dello scorrere inesorabile del tempo, rappresentano allora la parola fine? La “Commemoratio” è davvero solo ricordo, rimembranza, di un qualcosa che è perduto? Non credo che questo sia lo spirito del lavoro di Carrara attorno al Bellini scomparso trenta anni fa. Quell’assurgere la stessa assenza della tavola del Giambellino, degli interni, della facciata della chiesa, a icone impone forse di concentrarsi, di meditare, sul bisogno intimo di vedere colmato il vuoto della cornice. Le opere dell’artista, del giovane artista che si pone al servizio quasi del maestro veneziano, paiono avere l’intima istanza di chiedere allo spettatore di sintonizzare l’attenzione sulla contemplazione di un’assenza al fine di dare vita alla speranza che essa divenga un pieno.

In questo ho trovato un’affinità ideale tra i lavori presenti oggi in mostra e lo spirito, l’anima, con cui ho cercato di tessere il mio libro. “Il desiderio di contribuire a tenere viva la speranza che quel vuoto possa presto diventare un pieno, grazie alle indagini o a ‘fortuiti’ accadimenti, dà corpo al racconto che prende avvio dalla notte del furto”, scrivo.

Qui, in questo desiderio compare il concetto di “scoperta”. Non è inteso, è evidente, come momento legato all’azione di rinvenimento di un oggetto artistico fino a quel momento non conosciuto o ad altri attribuito.

Non è una dimensione materiale ma il segno dell’inaspettata rivelazione dell’esistenza di un sentimento comune, grazie forse a quella millenaria stratificazione culturale e storica ricordata da Zeri, che porta persone non in contatto tra loro, in tempi vicini, a interrogarsi su piani espressivi diversi attorno a un piccolo immenso quadro, la Madonna con Bambino di Bellini. Penso che sia un inaspettato ma felice momento il poter credere che parola e immagini, libro e opere foto-pittoriche idealmente dialogano oggi sotto il segno di un dipinto scomparso con la comune speranza che possa presto essere ritrovato.